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Cresce l’offerta di servizi di fractional management

di Maurizio Quarta, AD di Temporary Management & Capital Advisors

“Il mondo è cambiato: ce ne siamo accorti?” Comincia così il volume “Fractional Manager” (EGEA), di Andrea Pietrini, di cui ho avuto modo di apprezzare negli anni la scelta di dedicare intelligenza e fatica ad una attività di comunicazione istituzionale mirata a trasmettere al mercato i giusti valori e i giusti modi di uno strumento, in realtà non del tutto nuovo.

Il fractional management, noto anche come part time management, è infatti presente in Italia, in forma più o meno strutturata, da almeno una ventina di anni: perché allora solo oggi un libro dedicato a questa modalità manageriale? Proprio perché il mondo INTORNO è cambiato …

Paradossalmente, oggi se ne parla molto, forse troppo e spesso a sproposito, a causa del gran numero di crisi aziendali, dei tanti manager in cerca di occupazione e della spinta verso una sempre più marcata managerializzazione delle PMI.
Il termine è divenuto ormai molto comune e frequente tra gli imprenditori e sulla stampa specializzata e non, visto che anche imprese molto piccole (con fatturati <5 milioni) utilizzano sempre più soluzioni di tipo temporary, ma in una modalità per loro maggiormente sostenibile organizzativamente ed economicamente.
Il fractional ha finito per diventare quasi una sorta di moda manageriale che induce un utilizzo fortemente mediatico del termine: essendo argomento che oggi fa in qualche modo audience, in molti sono tentati da un utilizzo improprio.

A fronte di un grande interesse, c’è però anche tanta confusione legata alla presenza di un eccesso di offerta non ben qualificata e definita, con il rischio che manager poco smaliziati e aziende poco abituate ad utilizzare manager (per lo più PMI) si trovino a doversi confrontare con situazioni poco chiare.
In Italia, ma anche all’estero, sembra infatti aumentata l’offerta di servizi di fractional management (non di temporary) a fronte di un numero crescente di operatori che si “presentano” sul mercato: spesso però, e basta navigare sul web per rendersene conto, si tratta di società di diversa estrazione (es. consulenza) che presentano questo servizio nel loro menu di offerta, dato che nella modalità fractional/part time le differenze tra manager e consulente diventano più sfumate. Spesso la confusione è originata dal fatto le modalità contrattuali con cui opera un fractional sono molto simili a quelle di un consulente, nella forma però più che nella sostanza.

Il libro di Pietrini aiuta a fare chiarezza su alcuni concetti di base, guardando soprattutto al lato dell’offerta, ovvero dei manager, e alla distinzione tra ruoli e contributi manageriali e consulenziali, sulla cui commistione spesso si gioca. Era quanto succedeva anni fa al temporary management, con la differenza che quel mercato è maturato e ha oggi ben inquadrato la distinzione.

Il libro aiuta i manager a fare anche “chiarezza con se stessi”, specie coloro che, in cerca di occupazione, scoprono infatti una “vocazione” improvvisa per la professione pensando che essere stato un buon dirigente sia condizione necessaria e sufficiente per essere un buon temporary /fractional, e vedono il fractional in ottica strumentale e finalizzata ad un rientro stabile in azienda.

Quali le differenze tra la managerialità temporanea, nelle sue diverse forme, e il management consulting?
Alcuni concetti chiave: il temporary (e anche il fractional) a differenza di un consulente: realizza e porta ad attuazione un progetto o un’iniziativa specifica; è un operativo, un esecutivo che “fa”; per fare assume responsabilità dirette, deleghe e poteri.

Molto differenti sono le poi competenze messe in campo: il temporary/fractional è un manager di elevata seniority ed esperienza, che magari ha avuto esposizione ad attività di natura consulenziale, specie agli inizi della propria carriera, ben diverso da chi ha avuto un percorso professionale prettamente se non esclusivamente di natura professionale.
In sintesi, il temporary/fractional non è alternativo alla consulenza e non c’è nessun conflitto tra le due tipologie di servizio professionale: è semplicemente una professione diversa, che richiede a sua volta attitudini, motivazioni e competenze diverse da quelle normalmente identificabili in un consulente. Rispondono a diverse esigenze delle imprese, potendo anche intersecarsi in combinazioni professionali virtuose.

Le riflessioni di Pietrini possono essere di aiuto ai manager in cerca di una svolta professionale: essere “lasciati a casa” non è un elemento negativo in sé ed è capitato a molti per motivi totalmente slegati dalla qualità del proprio lavoro. E’ il modo in cui viene vissuto e metabolizzato un fatto comunque traumatico che crea la differenza e le premesse per una rinascita professionale: quello che conta veramente è non sentirsi “licenziati dentro”!

Pietrini analizza il percorso mentale e psicologico che un potenziale fractional deve affrontare, per prima cosa abbandonando il concetto di status, legato ad una concezione contrattuale del dirigente, per passare al concetto di valore/contributo che si è capaci di fornire, passando dal tradizionale rapporto dipendente-datore di lavoro ad una visione fornitore-cliente, in cui essere fornitore strategico di tempo, energia, capacità ed intelligenza.

Ciò significa spostare progressivamente il proprio focus personale da un’ottica mirata a migliorare il proprio posizionamento aziendale e la propria retribuzione di breve periodo, ad una di più lungo periodo in cui elementi chiave sono la propria rivendibilità e la propria employability, ovvero la capacità di essere attraente per il mercato in qualsiasi momento indipendentemente da fattori contingenti ed esogeni.
Per Pietrini questa è l’unica forma di sicurezza oggi possibile nel mercato del lavoro per i livelli manageriali, che va perseguita in maniera proattiva facendo leva su tutti i luoghi di socializzazione della persona e su tutte le opportunità e i momenti formali ed informali di apprendimento.

La sublimazione di questi concetti sta nella capacità di strutturarsi e pensare come un’ azienda: non si tratta solamente di un fatto formale circa le modalità di pagamento delle imposte, la gestione degli aspetti assicurativi e previdenziali, o la gestione della propria pensione, quanto di una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di vedere sè stessi, il proprio lavoro e il valore del proprio lavoro. Come per una normale azienda: esiste un prodotto / servizio da vendere: se stessi e il proprio know how, che deve risultare appealing nel tempo e non diventare obsoleto; esiste un’ attività di marketing da portare avanti; esiste una struttura di costi fissi che si decide di voler sostenere, e che nel caso del fractional è funzione dello stile di vita che si è scelto.

Il libro fa ampio ricorso al contributo di esperti sulle diverse componenti del marketing mix di un fractional: networking, personal branding con l’originale testimonianza del noto chef Ernst Knam, digitalizzazione con i suggerimenti del guru Salvatore Aranzulla, etc.

Il libro può aiutare la riflessione anche dei molti manager di successo, nella fascia d’ età 30-35 anni, che si avvicinano con interesse allo strumento, partendo da una considerazione molto semplice: il mercato del lavoro sta radicalmente cambiando, meglio allora cavalcare oggi la tigre piuttosto che esserne divorati domani.

Un punto sarà fondamentale per una maturità piena del mercato: poiché la domanda futura verrà soprattutto dalle PMI, mentre l’offerta deriverà principalmente da grandi e medie aziende, l’equilibrio qualitativo del mercato richiede che i manager imparino a capire, lavorare e convivere con l’imprenditore. Ma anche il contrario …

Nel libro non viene trattato il lato della domanda, ovvero delle PMI utilizzatrici del servizio e mercato naturale di sbocco: non si tratta però di una dimenticanza: Pietrini si è fatto sfuggire la promessa che il tema sarà oggetto del prossimo volume …