I lavoratori chiedono più welfare in azienda

Il 59% degli italiani rinuncerebbe ad una retribuzione maggiore per un impiego meno stressante. Ma non solo: un aumento è secondario anche rispetto alla possibilità di avere orari flessibili (che è fondamentale per il 58% degli italiani), dei benefit aggiuntivi, soprattutto sanitari (55%) e alla possibilità di lavorare regolarmente da casa (52%). Mentre, di fronte alla scelta tra un aumento o più giorni di ferie, oltre metà degli italiani mette davanti la retribuzione(54%). Sono alcuni dati del nuovo Randstad Workmonitor Pulse, l’indagine di Randstad condotta in 7 Paesi che, grazie all’intervista approfondita di 750 lavoratori di tutti i settori solo in Italia, ha analizzato quali siano gli elementi non essenziali del lavoro, quelli irrinunciabili e quali i fattori chiave per la longevità in azienda.
Dalla ricerca emerge, però, che nonostante l’aumento di stipendio appaia in secondo piano rispetto a molti fattori irrinunciabili, la retribuzione è l’elemento che più di tutti garantisce la longevità nel rapporto tra azienda e dipendente: il 75% dei lavoratori dichiara che con un aumento sarebbe incoraggiato a rimanere nel proprio ruolo e non rivolgersi altrove. Seguono, tra le altre leve per incentivare la “fedeltà”, un aumento di stipendio regolare annuale (71%), benefit sanitari e più giorni di ferie (entrambi al 65%), maggiori possibilità di avanzamento di carriera (63%) e orari flessibili (61%).
Questo non vuol dire che nel corso della carriera non siano stati compiuti dei compromessi. Spesso, accettando un nuovo ruolo, accade di dover valutare a cosa dare priorità a svantaggio di qualcos’altro. I compromessi più diffusi tra gli italiani sono: aver accettato un lavoro con una retribuzione più alta, ma con uno scopo meno appagante e motivante (38%) o, viceversa, uno con una retribuzione inferiore, ma più significativo e allineato ai propri valori (37%). Oppure un lavoro con scarse opportunità di carriera, ma con maggiore flessibilità (35%) o uno con maggiore flessibilità, ma una retribuzione inferiore (35%).
“Dal Workmonitor Pulse emerge una crescente motivazione dei lavoratori italiani nel negoziare le loro esigenze in azienda, valutando attentamente sia le priorità che i compromessi possibili nel percorso lavorativo – dichiara Marco Ceresa, Group CEO Randstad –. In un periodo di incertezza economica globale e di dinamiche di mercato in evoluzione, il work-life balance si conferma in cima alle preferenze, mentre lo stress rappresenta un fattore di rottura, che nemmeno un aumento di stipendio può rendere tollerabile. Per i datori di lavoro questo è un momento chiave per ripensare a come rendere più efficienti le organizzazioni attirando, coinvolgendo e trattenendo al meglio le persone. E per questo, è sempre più importante definire e promuovere, insieme alle condizioni economiche, ambienti di lavoro stimolanti, opportunità di carriera, condizioni di flessibilità, identificando le cause di malessere ed eliminandole tempestivamente”.
I risultati della ricerca
L’importanza dello stipendio – L’aumento di stipendio è sempre bene accetto, ma non se porta con sé un carico di maggiore stress. La pensa così il 59% dei lavoratori italiani, stessa percentuale della media globale. Tra le fasce d’età, i più convinti sono i giovani, che considerano l’aumento di salario secondario anche alla possibilità di fare più ferie (al contrario della media). Lo stipendio più alto incentiva la fedeltà verso l’azienda soprattutto in Italia: la media del nostro Paese (75%) supera di 7 punti quella globale. E il secondo fattore a garantire una permanenza più longeva in azienda è sempre di carattere economico: gli aumenti regolari annuali per il 71%.
L’importanza dei benefit – I benefit aggiuntivi alla retribuzione sono considerati molto spesso un riconoscimento salariale. Per oltre la metà degli intervistati (55%) sono preferibili ad un aumento di stipendio. E già oggi un quarto dei lavoratori ha accettato un ruolo con una retribuzione inferiore compensato da un pacchetto di vantaggi. Un’attrattiva soprattutto per i più giovani: Gen-z e Millennials sono d’accordo rispettivamente al 62 e 61%, contro una percentuale attorno al 47% dei lavoratori più senior. I benefit rappresentano anche un asset per incoraggiare la permanenza, in particolare quelli più immediatamente traducibili in valore economico, come assistenza sanitaria (68%), buoni pasto (58%) e aziendale (51%): tutti e tre molto più importanti per i lavoratori italiani rispetto al resto del mondo. Meno rilevante il supporto per asilo nido e assistenza all’infanzia, motivazione per rimanere in azienda per il 40% dei lavoratori.
Competenze e carriera – Un altro fattore per motivare la fedeltà dei dipendenti è l’evoluzione della carriera professionale, fondamentale per il 63% degli intervistati (+11% rispetto alla media globale). L’importanza dello sviluppo della carriera trova maggior riscontro tra i Boomers e i Millennials (70 e 67%), molto meno tra i lavoratori più senior e della Gen-Z. Anche l’acquisizione di nuove competenze viene considerata un elemento per incentivare la longevità in azienda, in particolare per i Millennials (62%). A conferma della rilevanza delle prospettive professionali, 6 italiani su 10 sarebbero disposti a rinunciare allo smart working in cambio di uno sviluppo delle proprie competenze.

