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Retribuzioni, si consolida il divario uomo-donna

Di Robert Hassan

 

Da una indagine retributiva di ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group Holding, emerge un  consolidamento del divario retributivo uomo-donna in Italia nel primo semestre del 2022: da circa 3.000 euro a oltre 13.000 euro in meno, in termini di RBA, retribuzione fissa annua lorda, a seconda dell’inquadramento. Il gender pay gap si è ridotto fra il 2017 e il 2019, per poi riprendere a crescere durante la pandemia. Il trend di chiusura del 2022 si attesta su una media di circa 10%.

Riguardo i singoli inquadramenti, il divario percentuale più ampio tra la retribuzione fissa media di uomini e donne si riscontra nell’inquadramento degli operai: il gender pay gap tra i dirigenti è al -10,8%,  tra i quadri al -5,4%, tra gli impiegati al -9,4%, tra gli operai al -12,7%.

“Questi dati diventano ancor più significativi se letti congiuntamente ad altri relativi alla presenza delle donne nel mercato del lavoro”, commenta Miriam Quarti, senior consultant e responsabile dell’area Reward&Engagement di ODM Consulting. “Più di una lavoratrice su quattro risulta sovra-istruita rispetto al proprio impiego e, sebbene si laureino con voti maggiori e in percentuale più elevata rispetto agli uomini, le donne sono meno presenti in ruoli apicali o direttivi, confermando l’esistenza del soffitto di cristallo. Guardando proprio a questi ruoli, però, quando le donne arrivano a ricoprire tali posizioni, non si osservano differenze tra i loro pacchetti retributivi e quelli dei colleghi uomini”, continua Miriam Quarti.

Il pay gap non è l’unico aspetto che evidenzia una disuguaglianza e iniquità di genere all’interno del mercato del lavoro. Infatti, ISTAT conferma anche per il 2022 il più basso tasso di occupazione delle donne (51,4% donne vs 69,6% uomini) e un tasso di inattività femminile al 44%, aspetti su cui incide fortemente la presenza di figli. Tra le donne che invece partecipano al mondo del lavoro è alta l’incidenza del part time (33,3% donne vs 8,6% uomini) e la velocità di inserimento risulta inferiore rispetto a quella degli uomini.

 

L’indagine di ODM Consulting, condotta su campione di piccole, medie e grandi aziende, evidenzia che nelle organizzazioni è ormai matura la consapevolezza della necessità di dotarsi di politiche di diversity inclusion & equity: oltre il 60% delle aziende, soprattutto tra le grandi, le ha già strutturate o sta prendendo in considerazione di farlo. La tematica di genere è nella top 3 delle tipologie di diversità su cui si sta maggiormente intervenendo a livello aziendale, insieme a età e disabilità.

“La nostra survey rileva come l’esigenza di occuparsi delle diversità e della loro gestione e inclusione in azienda arrivi soprattutto dalla volontà di promuovere un’immagine aziendale positiva nei confronti dei dipendenti, dei clienti, del territorio e di potenziali candidati. Tra gli altri motivi principali le organizzazioni indicano il rispetto delle normative e obblighi di legge, quelli economici come l’aumento della produttività e l’attuazione del proprio impegno verso la sostenibilità. Il lavoro sostenibile, per essere tale, deve essere anche inclusivo”, conclude Quarti.

Logistica, ICT e Meccanica: solo il 31% di chi ci lavora è donna

 

L’elevata disparità di genere in alcuni settori spesso è alimentata da una percezione esterna e da preoccupazioni in contrasto con il vissuto e il dichiarato delle lavoratrici occupate in

questi settori. Questo quanto emerge dallo studio “Women4: superare le disparità di

genere per un futuro del lavoro sostenibile” di Gi Group Holding, in collaborazione con ODM Consulting,  che si inserisce nell’impegno per un mercato del lavoro sostenibile e quindi inclusivo e che raccoglie anche spunti di intervento per le aziende che si dichiarano consapevoli dell’importanza di occuparsi di parità di genere.

 

Questo studio è volto a indagare sugli ostacoli alla presenza femminile in tre comparti – Information Technology, meccanica/automotive e logistica/trasporti – e le possibili soluzioni per ridurre il gender gap. Nello specifico, le donne che lavorano nei tre settori indagati mostrano una percezione del settore più positiva rispetto a chi non vi lavora o non lavora affatto, evidenziando un bias percettivo e la necessità di rivedere le strategie di attraction da parte delle aziende.