Cresce il welfare aziendale
Un’indagine di Welfare Index PMI, su un campione di 6mila imprese, evidenzia che il 43,8% delle aziende italiane hanno offerto presìdi di prevenzione e servizi diagnostici, tra i quali tamponi e test sierologici. Molte di esse hanno ampliato i servizi sanitari già disponibili o ne hanno creato di nuovi: il 25,7% delle aziende ha esteso le coperture assicurative; il 21,3% ha offerto prestazioni sanitarie a distanza, come servizi di consulto medico o psicologico. È stato rilevante il cambiamento affrontato per adeguare l’organizzazione del lavoro, aumentando la flessibilità oraria e i permessi (per il 35,8% del campione intervistato), così come l’impegno economico a sostegno dei dipendenti: il 38,2% ha erogato bonus, aumenti temporanei delle retribuzioni, integrazioni alla cassa integrazione, il 39% ha sviluppato in modo innovativo la formazione, introducendo soluzioni digitali. Una quota più limitata di aziende, circa il 7%, ha sostenuto le famiglie nell’assistenza agli anziani, nella cura dei figli e nelle spese scolastiche. Le imprese, inoltre, hanno offerto contributi alle comunità e alle istituzioni pubbliche, con donazioni (16,4%) e con attività a sostegno del sistema sanitario o della ricerca (9,2%). La gran parte di queste iniziative sono tuttora in corso. Questo sforzo ha modificato in modo permanente il welfare aziendale: il 42,7% delle imprese che ha attuato iniziative, in risposta all’emergenza sanitaria, intende mantenerle anche in futuro, considerandole una componente strutturale del loro welfare. I lavoratori ne hanno riconosciuto il valore: il gradimento è positivo o eccellente nell’88% dei casi. Una valutazione nettamente superiore alla media generale delle iniziative di welfare. Tuttavia, l’analisi delle iniziative non basta da sola a descrivere il significato assunto dal welfare aziendale: in questo lungo periodo di difficoltà e disorientamento le imprese si sono poste come punto di riferimento per i lavoratori, le famiglie e le comunità.
Dall’indagine Welfare Index PMI emerge inoltre che i lavoratori hanno molto apprezzato le iniziative e ne hanno pienamente compreso il valore. La crisi Covid ha evidenziato le difficoltà provocate dalla polverizzazione del tessuto sociale. Oltre 8 milioni di famiglie sono costituite da persone singole e 2,5 milioni da un genitore solo con figli a carico: nell’insieme il 42,7% dei nuclei familiari hanno carattere individuale. Soprattutto gli anziani hanno vissuto un interminabile periodo di sofferenza e isolamento: in Italia 4 milioni di persone con più di 65 anni (29% del totale) vivono sole, ma un po’ tutte le famiglie hanno dovuto gestire il sovraccarico degli impegni di cura senza poter contare su adeguati sostegni. Anche le difficoltà del sistema scolastico, oltre che peggiorare il livello di istruzione dei bambini e dei ragazzi, si sono ribaltate sulle famiglie. Se parliamo di crisi del welfare non dobbiamo pensare solo all’indebolimento, negli ultimi decenni, delle capacità di prestazione dei servizi pubblici. Al centro della questione c’è il cambiamento demografico, la frammentazione del tessuto sociale e soprattutto lo sgretolamento.
L’indagine sottolinea anche il ruolo della famiglia multigenerazionale che è sempre stata la rete primaria di protezione sociale. Questa trasformazione pone due questioni alle quali certamente non è facile dare risposta. La prima attiene alla molteplicità dei bisogni emergenti e delle condizioni familiari. Si tratta di aiutare le famiglie e le persone, rispondendo caso per caso puntualmente ai loro bisogni e alle loro attese. Per questo motivo il necessario modello di riferimento è il principio europeo della sussidiarietà: le soluzioni più efficienti sono quelle offerte, in prima istanza, dalle istituzioni più vicine alle famiglie. La seconda questione ha a che fare col significato più ampio dell’operazione di rigenerazione del welfare nel nostro Paese: non si tratta solo di fornire servizi, si tratta di offrire ancoraggi, punti di riferimento per riannodare relazioni, reti di solidarietà.
Certamente il sistema delle imprese è ancora lontano, oggi, dal poter dare una risposta adeguata ad esigenze così grandi e complesse. Le imprese, tuttavia, hanno dimostrato di avere acquisito consapevolezza del proprio ruolo sociale. Sono quindi vicine alle famiglie, capaci di rilevarne i bisogni e di fornire soluzioni puntuali. Le 660.000 piccole e medie imprese sono presenti ovunque nel territorio, in grado di consorziarsi tra loro, superando i limiti dimensionali, e di relazionarsi con le istituzioni locali, con il sistema sanitario e quello scolastico, con le organizzazioni del terzo settore. Le imprese possono agire come aggregatore di domanda, rendendo possibile l’accesso collettivo a soluzioni che su base individuale risulterebbero troppo costose. Infine, le imprese stanno imparando a governare il proprio impatto sociale e avviano iniziative, talvolta vere e proprie strategie, di gestione dell’impatto verso i numerosi soggetti con cui interagiscono: i lavoratori e le loro famiglie, le comunità e le istituzioni locali, la catena dei fornitori, i consumatori. Ora che il Paese, con il PNRR, sta avviando uno sforzo senza precedenti per rigenerare e innovare i sistemi di welfare, sviluppando nuovi servizi di prossimità, è necessario valorizzare il contributo che può essere dato dal welfare aziendale a questo grande progetto comune, grazie alla capacità delle imprese di raggiungere le famiglie, aggregare la domanda e sostenere le comunità.
Il cambiamento nella cultura di gestione delle imprese, accelerato dalla reazione alla crisi nel 2020, si è consolidato nel 2021. Per il 92,2% dei responsabili intervistati la salute e la crisi Covid ha dunque evidenziato la fragilità sociale. Le imprese sono vicine alle famiglie, capaci di rilevarne i bisogni e di fornire soluzioni puntuali. La reazione alla pandemia ha impresso un salto di qualità al welfare aziendale ampliando il numero delle imprese attive, arricchendo il range delle iniziative adottate e soprattutto generando una nuova consapevolezza del ruolo sociale delle imprese.
L’indagine Welfare Index PMI, giunta alla sesta edizione, è stata realizzata su un campione di aziende di tutti i settori produttivi, le classi dimensionali e le aree geografiche. Un campione che, per numerosità e composizione, rappresenta l’evoluzione del welfare aziendale nelle 660.000 piccole e medie imprese che costituiscono la struttura portante del sistema produttivo italiano. Questo survey è un segnale di quanto sia aumentata la consapevolezza del valore sociale ed economico del welfare aziendale. Con 26mila interviste in sei anni le imprese hanno accettato di misurarlo in modo minuzioso, rilevando 127 variabili e ottenendo come risultato una valutazione individuale del loro livello di welfare. È anche cresciuto il numero di aziende che utilizzano l’indice Welfare Index PMI nella comunicazione pubblica, rispondendo alla crescente attenzione dei consumatori e del sistema finanziario verso il welfare aziendale come fattore di sostenibilità. Da quest’anno, in collaborazione con Cerved Rating Agency, sono stati estesi gli ambiti di rilevazione e arricchito il modello di analisi, facendo dell’indice Welfare Index PMI una misura dell’impatto sociale delle imprese. Tuttavia, l’indagine non si limita solo all’analisi quantitativa. In questo rapporto sono stati pubblicati i casi più significativi di welfare aziendale delle 105 imprese Welfare Champion 2021 premiate a Roma alla presenza delle autorità di governo (per saperne di più: www.welfareindexpmi.it).