Boom di dimissioni volontarie
Una ricerca della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro evidenzia che settembre e dicembre sono i mesi in cui si concentra il maggior numero di dimissioni volontarie. Nel 2022 sono stati 121.756 gli occupati con contratto a tempo indeterminato che hanno deciso di dimettersi al rientro dopo la pausa estiva, concentrando nel mese circa il 10% delle dimissioni avvenute nell’anno.
Il ritorno al lavoro rappresenta per molti un nuovo inizio: per alcuni coincide con la scelta di lasciare il proprio lavoro, per molti con l’avvio della ricerca di una nuova occupazione.
Si stima che quest’anno saranno più di 3 milioni i lavoratori si sono rimessi alla ricerca di una nuova occupazione. Si tratta di tendenze che stanno sempre più accentuandosi negli ultimi anni. Se c’è, infatti, un fattore che più sta caratterizzando l’attuale crescita occupazionale è l’accentuata
mobilità interna al mercato del lavoro. L’impennata delle dimissioni, che non accenna ad
affievolirsi, è solo la punta dell’apice di una tendenza più diffusa al cambiamento che
stravolge il tradizionale immobilismo del lavoro in Italia.
Spinti dalle nuove opportunità che il mercato sta offrendo, soprattutto per i profili più innovativi e ad alta qualificazione, dalla concorrenzialità crescente delle imprese nel trattenere i giovani o nel reclutare le professionalità ormai introvabili, ma anche desiderosi di un cambiamento che porti ad una dimensione di maggiore equilibrio tra vita e lavoro o più semplicemente alla ricerca di una nuova motivazione, i lavoratori italiani si muovono molto più di prima tra un’occupazione e l’altra, liberando e creando nuove opportunità utili anche a chi da tempo è alla ricerca di lavoro.
Nel 2022 si è toccato il nuovo record di dimissioni. Sono stati 1 mln 255 mila i lavoratori a tempo indeterminato che hanno lasciato il lavoro: un numero in crescita del 9,7% rispetto all’anno precedente e addirittura del 24% rispetto al 2019. Se si considerano anche i lavoratori a termine, stagionali, il numero arriva a 2 mln 156 mila, in aumento del 13,3% rispetto al 2021 e del 27,8% rispetto al 2022.
Su 100 dimissioni di lavoratori con contratti a tempo indeterminato, la quota più consistente si è avuta nel commercio e servizi turistici (33,8% del totale) e a seguire nel comparto manifatturiero (25%).
Rispetto a quattro anni fa, i settori che hanno registrato il maggiore incremento sono quelli dove vi è stata una più elevata crescita occupazionale: le costruzioni, con un Ritorno al lavoro: per 3 milioni riparte la ricerca di una nuova occupazione, incremento del 48,4%, seguite dai servizi di informazione e comunicazione (+37,5) e dal settore sanità e istruzione (+35,8%).
Quello delle dimissioni è, però, solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più vasto, che riguarda la voglia di cambiamento di lavoro degli italiani. Secondo l’indagine realizzata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in collaborazione con l’Istituto Piepoli, il 6% dei lavoratori interpellati ha cambiato occupazione negli ultimi due anni; a questi si aggiunge il 13% che sta cercando attivamente un altro lavoro. Ma c’è poi un 26% che, pur non avendo messo in pratica alcuna azione concreta, desidera però un cambiamento professionale.
Complessivamente, sarebbero più di tre milioni i lavoratori italiani alla ricerca attiva di un nuovo lavoro.
C’è tra i lavoratori una domanda diffusa di mobilità che interessa soprattutto i giovani e che nasce innanzitutto dalla mancata soddisfazione per la situazione occupazionale precedente. Ha cambiato lavoro il 13% ed è alla ricerca attiva di un’altra occupazione il 15%.
Il 41% degli occupati che ha cambiato lavoro nel corso degli ultimi due anni, o che si appresta a farlo a breve, dichiara infatti che il motivo prevalente è l’insoddisfazione per
l’attuale condizione. A seguire, ma molto distanziati, il 18% indica la necessità di cambiare lavoro, derivante dalla scadenza di un contratto o da un licenziamento, mentre il 16% afferma che la scelta
nasce dalla voglia di un cambiamento di vita, che comporti un ruolo diverso del lavoro.
Per il 12% degli intervistati il passaggio lavorativo è derivato dal presentarsi di nuove opportunità, mentre solo il 6% cambia per la paura di perdere l’attuale posto di lavoro.
La trasversalità del fenomeno, abbastanza nuovo per un mercato del lavoro da sempre caratterizzato da elevata stabilità e basso turnover interno, trova ragione in fattori diversi che hanno a che vedere anche con gli effetti della pandemia sulla vita delle persone. Pesa molto la ricerca di un miglioramento retributivo, soprattutto alla luce della corsa inflazionistica dell’ultimo anno che ha penalizzato fortemente il potere d’acquisto dei lavoratori. Il 39% di chi ha cambiato o sta provando a cambiare lavoro cerca innanzitutto uno stipendio più alto.
A seguire, si cerca nel nuovo lavoro un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata. Risultano, poi, determinanti anche il desiderio di riscoprire motivazione e nuovi stimoli (21%), un migliore clima aziendale (20%) e le prospettive di crescita e di carriera (20%).
Di contro, solo una minoranza indica tra i fattori imprescindibili di cambiamento una maggiore sicurezza della condizione occupazionale e la presenza di benefit. Poco importante è il prestigio e la reputazione aziendale, tenuta in considerazione solo dal 7% degli intervistati.